lunedì 23 aprile 2012

Malaguzzi


Scrivere era per me salvifico.
Non dico nulla di nuovo, né di illuminante, lo so. Ma quella bambina di otto anni che narra provando gioia, piacere, che naviga leggera nei suoi luoghi di parole, continua a sorprendermi.
Il breve racconto di una famiglia povera e numerosa (alquanto lacrimevole e poco credibile), in cui i protagonisti scalzi e malvestiti si muovevano su uno sfondo di infinita tenerezza e amor filiale, strideva fortemente con il mio mondo di matrigne, affidi e divorzi. Eppure mi valse la menzione d'onore.
Ecco la piccola maestra Anita che legge nell'atrio della scuola il mio scritto. Ecco i compagni, muti e attenti, che entrano a cavallo delle parole nella fredda, misera bicocca, tra le scodelle di latte fumante e i tanti fratellini seduti intorno al fuoco.
Sublimavo? Forse.
Ma in questo sublimare c'era, e lo sento con chiarezza, una spasmodica voglia di plasmare vite, volti, odori, per me inesplorabili.
Il grandissimo e compianto Loris Malguzzi, ci ricorda che il bambino è fatto di cento. “Cento lingue, cento mani, cento pensieri, cento modi di pensare di giocare e di parlare. Ma gliene rubano novantanove.”

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